Così la cosa rimasta da fare è sederci.
In questa eterna primavera sorvola le cime dei cipressi in fiore, le antenne e le parabole dei condomini, il ponte crepato in corso sui binari, i tavolini coi posaceneri, i verdi i rossi e i rotondi, i fili per il bucato dei balconi, le calamite sul friggorifero, le tracce invisibili dello scorso inverno, i tuoi occhi, le fermate degli autobus, dei taxi, dei blu e degli ippici accaniti, le andate senza ritorno low cost, il parchetto col recito dei cani, quello senza recinto dei piccioni, le aule delle scuole di un tempo, i congiuntivi cinesi nei bar, i fumatori d'oppio di via Mascarella, le partite finite due a due, gli autoritari baffi di Augusto, le sottili pensiline a doppio senso, i liquori di quando non hai ancora mal di testa, i petali sui marciapiedi, le lavagne indelebili degli anonimi, lo spazio per lasciare un commento, le foto inedite, la polvere ancora fresca sui ricordi che ho avuto, la neve caduta sui nostri animi, i cappelli per andare al lavoro, i fogli dei giorni senza ali, le frequenze strobiche degli stati emotivi collettivi, il rubinetto che ogni giorno perde qualcosa, Bogoliubov alle feste serie, le corde mancanti delle chitarre in piazza Vermi, i calendari luciani dell'anno che verrà, la rabbia, la rabbia, la rabbia, la rabbia che cresce e tutta la nostalgia che posso provare racchiusa nel sogno che ho avuto questa mattina prima di svegliarmi, "uno stormo di anatre diretto a sud. Ma noi, che siamo contro natura, migriamo verso nord".