L'inverno scorso ho fatto un esperimento. Mentre cucinavo il sole abbagliante illumina la mia stanza. Penso che vorrei stupire la mia vicina di casa Will. Con tono deciso una settimana prima le avevo confessato il mio profondo affetto: "Sei una divina ispirazione continua". Dopo mangiato esco e casualmente la incontro sul pianerottolo con due borse di spesa. Così senza rivelare i dettagli dell'idea che avevo avuto quella mattina, la convinco a tornare al centro commerciale con me ed aiutarmi nella realizzazione dell'esperimento.
- E' per provare l'esistenza di un dio - le dico.
- Ma come pensi di fare? - risponde - chiedendogli un miracolo?
Al centro commerciale cerchiamo un fioraio e troviamo meravigliose orchidee molto diverse fra loro. Allora le spiego:
- Tu scegli tre orchidee diverse. Le cresceremo insieme, ma parleremo loro in differenti maniere, ci comporteremo con loro in maniere diversa.
- E che cosa dovrebbe succedere? - Replica.
- Ne scegliamo una alla quale resteremo sempre indifferenti. Una l'ameremo alla follia e l'altra la odieremo e disprezzeremo. Ti piace? Possiamo svelare così dove si cela la bellezza e la vita.
Lei mi guarda confusa. Will quel giorno portava dei jeans verdi e un maglione leggero di colore giallo, lei ha i capelli arancioni.
E replica alla mia convinzione:
- Ma non si può scegliere che cosa amare. -
Will ed io non abbiamo mai fatto all'amore, nemmeno un bacio. Vivemmo accanto cinque mesi in tutto con grande e forte affetto e stima reciproca. Ricordo lunghe luminose giornate con lei e tante variopinte occasioni per sorprendersi.
-E' vero - le dissi - ma se sarai tu a scegliere, sarà facile per me volerle bene. - - Va bene. - Disse, risate.

- Sono certo Will che il fiore a cui vorremo bene non perderà mai tono e vivrà molto più a lungo, forse in eterno! -
Sorrise lei, probabilmente le sembrava un'idea assurda.
Dove lavoro oggi certe mattine e certe nottate quei tanti sorrisi illuminano un angolo della mia testa. Anche se questi lampi non sempre giungono fino all'altra estremità, quella rivolta verso letti vuoti sempre occupati, verso scaffali di farmaci più o meno efficaci o potenti, che spesso curano e spesso cancellano, verso gli sguardi più o meno presenti di fiori che talvolta finiscono per confondere il muro per la finestra, il neon per il sole. Nitidamente però ricordo e immagino tante cose.
I tre eletti li portammo a casa di Will, che scelse un fiore viola e leggermente più vecchio da amare: Meraviglia. Quello rosa era Disgustoso e il bianco Niente. Io finivo per cantare intere canzoni di amore o con lo sbraitare e imprecare ad alta voce. Lei parlava loro molto teneramente, al bianco al centro ogni tanto diceva en passant: - Tu? ..Niente! - Mentre a Disgustoso parlava poco, limitandosi a frasi come: - E' molto triste che tu debba morire.
Provare l'esistenza di un dio non m'interessava realmente, da tanto mi divertivo a mostrare a Will la maniera unica in cui ogni uomo sa amare. Così come mostravo come si conoscono l'odio e il rancore, il risentimento. Esilerante.
Se i miei pazienti potessero specchiarsi in me credo molti riconoscerebbero tal fiore arancione al centro e viola intorno, come amaii tale Meraviglia.
L'esperimento fallì. Nei primi cinque giorni ci fu un cambiamento particolarmente rilevante, quasi schiacciante: Disgustoso effettivamente abbruttì nonostante fosse il più giovane, mentre il bello si mostrava profondo, dagli innumerevoli riflessi, vivo acceso. Probabilmente anche la mia stessa percezione della bellezza in essi era mutata. Il trio si affacciava dalla stessa finestra, il paesaggio non lasciava spazio al colore, tutto era bianco, completamente. Il primo non riuscimmo a salvarlo, appassì molto velocemente; dopo un paio di settimane cercavamo di riscattarci dalla nostra crudeltà nel averli succhiatto la vita, dunque lo adoravamo e veneravamo costantemente. Buttai Disgustoso che puzzava di marcio. Meraviglia invece ebbe un trattamento diverso: soffocava, lentamente. Non sempre è facile esprimersi, ho la sensazione ora che il piacere provato nell'affermare il mio amore le togliesse a poco a poco il respiro, lo pneuma. Tagliai foglie e fiori e radici morte e la travasai in un vasetto dello yogurt più piccolo, diceva "Isabella", mi pareva perfetto. In un angolo ora tra due finestre la contemplavo continuamente, tanto. Un cd rifletteva la luce del Sole sul suo viso, piccole casse praticamente sempre accese trasmettevano interi concerti. Koko, un'amica jinn, un giorno portò un biglietto, diceva: "La prova vivente della Bellezza del Mondo". Mi sono spesso sentito veramente afflitto a guradarla, l'accompagnavo lentamente alla morte, il suo naturale corso. Tale orchidea era ormai divenuta un simbolo ed io mi ostinaii con tutta la volontà di cui sono abile, la amaii per davvero fino alla follia.. Ma cos'è allora una storia d'amore? Che cosa vedono i vetri delle finestre di questo ospedale? Vedono le smorfie e l'assenza dei tanti pochi che ogni ora arrivano, per giorni restano e in un istante lasciano, i letti, i corridoi, le sedie con le ruote e i camici pallidi e i carrelli e queste stesse finestre con le cornici in versi. E che cosa ha visto Meraviglia in me da scegliere di divenire lo specchio della mia solitudine? A morirsi come niente mai in questa terra dovrebbe. Eppure, dopo le tante strategie, una sera la portai al cimitero per seppellirla, darla alla terra dei morti. Un vasto parco che costeggiava tutta la strada per arrivare da casa mia al mare. Era da poco Aprile, ma ancora il manto di neve copriva le tombe stesse e uno spesso strato di ghiaccio mi impedì di raggiungere la terra. In quel momento la disperazione mi ha invaso, ha preso il controllo di me. Ho sferrato pugni e calci sul ghiaccio, ho picchiato con sassi e bastoni, ma tutto è rimasto immutato, identico, indifferente: il cuore stesso era ormai divenuto ghiaccio. E non ho compreso mai come è potuto succedere. Proprio a me, che lo avevo creduto tanto, come ho fatto a permetterlo? La stessa terra madre mi ha negato allora il battito. Terribile. Dopo qualche minuto ho infine messo la pianta nel recipiente di un cero, ho sostituito la neve alla terra e ho poggiato i resti al fianco di una lapide a ricordare una cosa forse stupida, sicuramente ingenua: noi non siamo piante. Già.
Guardo ora i loro occhi stanchi e questa storia mi torna alla mente. Non sono un medico, non decido di loro le medicine, le terapie. Semplicemente ad ogni turno porto un po' d'acqua.
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