Non c'è, non c'è stato un momento preciso in cui sia incominciato il viaggio.
Qualcuno dice che esista un unico filo rosso invisibile che leghi
tutti i momenti della nostra vita l'uno con l'altro. E spesso seguire
quel filo significa lasciarsi al vento. Qualche dettaglio risuona
nella nostra fantasia mentre camminiamo e cattura la nostra
attenzione, così scegliamo che strada prendere. Non conosciamo
nemmeno il percorso che stiamo facendo, né dove possa condurre, ma
solo nel finale, visti dove siamo giunti, ci si può accorgere che
l'unico e solo destino che esista è quello tracciato dall'orma dei
nostri passi.
Nitidamente
ricordo un giorno in cui, da ragazzo, sfogliando una rivista
qualunque mi sono imbattuto in una foto particolarmente suggestiva,
una scena evocativa e intrigante. Qualcosa in quei colori deve avermi
tolto il fiato se ancora oggi conservo appeso, a fianco del comodino,
quel ritaglio di carta spiegato e impallidito agli anni. Ritrae un
uomo vestito completamente in bianco ai piedi di una statua di
pietra. Guarda verso l'alto mentre versa del latte sulla roccia per
lucidarla e lavarla. Si tratta di un jainista, seguace di una
religione antica; l'unica cosa che mangia quest'uomo oltre alle
radici secche di alcuni arbusti è il latte; la statua è un monolito
scolpito e sottratto alla terra, si trova in cima ad un colle vicino
ad un paesino nel sud dell'India, Shravanabelagola, è alto oltre
diciassette metri ed ha più di mille anni. Mi è tornata alla mente
questa immagine lo scorso inverno, quasi dieci anni dopo averla
rubata alla smemoratezza: fumavo una sigaretta alla fermata
dell'autobus, ho guardato per terra ed ero circondato da mozziconi
spenti. Mi son chiesto cosa avrebbe potuto dire o pensare un bambino,
chissà, probabilmente non lo avrebbe nemmeno notato; quando invece
succede che l'uomo nella foto ha percorso chilometri per giungere al
colle, con il suo solo manto bianco ed una scopa, spazzando la strada
di fronte a sé per evitare di calpestare foss'anche il più piccolo
degli insetti. La domanda che mi stavo ponendo era: “Come potrei
mai spegnere una sigaretta sul ventre di nostra Madre?”. Certo è
solo asfalto. Ma deve esserci qualcosa nell'aria, nei sassi, dentro
gli stessi pensieri, le sensazioni. Qualcosa tra noi, se anche
queste piccole inezie possono farmi cambiare e crescere.
“Insignificante”, ho pensato, è una parola che non può essere
attribuita a niente, è appunto priva di significato. Deriva dal
latino signum, cioè segno, la cui radice europea è sak-
che innanzitutto significa. E il suo significato è «dire»,
«mostrare». Insignificante è dunque tutto ciò che non può
esprimersi, che non ha voce. Eppure, sarà solo un'impressione, ma a
me pare che ogni cosa qui abbia qualcosa da dire, stia parlando del
sé. Forse è questa l'unica vera legge del regno naturale:
esprimersi, liberarsi, cantare. E capita certe volte, senza nemmeno
accorgersene, di riuscire ad ascoltare e sentire le note.
Personalmente non ho mai più gettato una sigaretta alla terra. Ed è
strano pensare a quel giorno, quando ancora non sapevo che sarebbe
trascorsa solo qualche settimana prima di vedermi all'agenzia di
viaggi acquistare un biglietto aereo per Mumbai. Ma cosa è successo?
Dov'è finito il nastro rosso in tutto questo? Mi chiedo se per la
ragione sia davvero una necessità attribuire un senso agli eventi e
agli avvenimenti che ci toccano. Perché francamente trovo difficile
descrivere, ci sono cose che non possono condividersi, e quando le
vediamo semplicemente le riconosciamo nostre, per noi: queste cose ci
scelgono.
Ricordo
quel pomeriggio guardavo la televisione. Trascorrevo un periodo di
studio ad Helsinki, in Finlandia, ed ero in compagnia di una ragazza
giapponese conosciuta in studentato, un'amica jinn di nome Koko. In
quel momento di svago ci siamo messi a cantare la filastrocca di un
cartone animato trasmesso dalla scatola nera parlante, si intitolava:
“The Best Day Ever”, il miglior giorno di sempre. Il protagonista
si sveglia, salta giù dal letto, fuori il Sole lo guarda e gli
sorride, si lancia allora verso un calendario grande come la parete
cadendo su un giorno qualsiasi, poi continua a cantare. Nel nostro
gioco abbiamo battezzato quel giorno del calendario come il migliore
di sempre: il tre di marzo. Sono trascorsi due anni da allora quando
lei mi ha scritto: “Hai il tempo per avere un viaggio?”. E ora
tutto questo mi sembra sciocco, solo un ritaglio sbiadito appeso al muro,
un cartone animato per bambini. Sono soltanto il seme di
un'attrazione divenuta ormai viscerale per un mondo nuovo
sconosciuto, distante ed escluso da ogni rotta di viaggio del mio
quotidiano. Ho pensato: "Questa è la mia occasione di entrare
nella foto". Tutto il resto è venuto da sé. Koko ed io
abbiamo dunque concordato di incontrarci a metà strada fra Giappone
e Italia. Per pura coincidenza i nostri voli sono atterrati alla
vecchia Bombay la stessa mattina con la differenza di poche ore. Ci
siamo incontrati immediatamente e mi è sembrato di rivedere la
sorella con cui sono cresciuto dopo tanto tempo in un luogo
risiedente fuori dal mio immaginario. L'impatto del giorno è stato
incredibile, era appena l'alba quando la città si è messa in moto
poco a poco. Ci siamo subito immersi nella corrente. Il profumo di un
ricordo atavico, la luce resta sospesa in un'aria languida, il Sole
immobile mentre compie il suo giro dona vita ad ogni cosa, calore
latente, per la prima volta ho creduto che gli alberi potessero
muoversi, ma che nella loro saggezza scegliessero ogni giorno di
restare fermi ed impassibili, ad ascoltare e ricevere la luce degli
astri, sola vittoria sulla polvere nella semplicità di una foglia. I
banyan sono gli alberi simbolo di questo paese, se lasciati crescere
possono coprire ettari di superficie e vivono per centinaia di anni;
il segreto della loro magnificenza risiede nel fatto che da ogni ramo
che crescendo punta verso il cielo pendono rami che scelgono di
tornare verso la terra. Una volta raggiunto di nuovo il suolo infatti
formano nuove radici e si invigoriscono fino a divenire nuovi fusti
per l'albero. Giunge il giorno in ogni essere di condividere questa
sensazione, quando in ogni dove si posi lo sguardo si scorge il
riflesso di un cammino ordinato. Da poco trascorsa l'alba, la mia
compagna ed io sedevamo su un treno, mancava poco al nostro giorno e
c'era un luogo che dovevamo raggiungere.
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