sabato 3 dicembre 2011

Ante-prima dell'alba

Amico mio, va tutto bene.
Non è stato un sogno solamente. Quanti corvi sono passati dall'ultima volta che ci siamo sentiti? Quanto è durata la notte? 
Ironicamente nemmeno ricordo a cosa stessi pensando. Mi avevi scritto allora: "Amico solo col buio puoi notare la volta di stelle, come potremmo orientarci, farci guidare, trovare la strada se non cadesse il nostro Sole ogni tanto dietro l'orizzonte? Fa sempre ritorno..". 
Sono stato dunque uno sciocco ad avere paura: la candela consuma la cera, le ombre crescono, fuori viene freddo, è come l'ultimo taglio di un'aria fin troppo sottile. Mi sono abbandonato, seppur ancora non spiego cosa mi abbia spinto a restare. Ogni cosa ogni gesto è diventato infatti terribile, più nulla poteva essere fatto a favore o contro la vita. Un nero denso gelido opaco ha offuscato penetrato e soffocato il cuore di tutti gli uomini. La parola si è persa e le ceneri sono finite negli occhi. Questo ineffabile gioco era già finito senza che lo sapessimo, non più siamo stati capaci in quel eterno attimo, di sognare. Di creare, di immaginare, di illudersi, di ridere, sorridere, stare allo scherzo, di commuoverci. Vuoti soltanto immobili. Inabili a sentire provare percepire, accecati e paralizzati in una mezza notte che nulla ha avuto di diverso da tutte le altre. Solo privati del battito che unisce ogni cosa, ogni essere; spezzato ogni legame con la vita, l'amore.
Fino a questa nuova alba, questo nuovo giorno, da cui ora ti scrivo un messaggio che pretendeva essere in fondo semplice. Solo ora che il bagliore può scaldare il petto, darmi la leggerezza indispensabile necessaria a non infrangere più il fiato. Respira. La notte è stata profonda, il mondo è profondo, come il tuo cuore di uomo. Fai ritorno amico al luogo in cui vivi, guardati intorno, le case, le strade, gli alberi, le persone, le finestre e di nuovo domandati che cosa ne abbiamo fatto di questa nostra madre? Come mai pare cosi difficile riconoscerla? Non senti anche tu l'incessabile ticchettio? Come una pioggia infinita, della vita unica di questa Terra che si accende e si spegne in ogni dove, perpetua ancora ed una volta ancora di nuovo come se ogni attimo fosse tutta l'eternità. A cosa devi l'esitazione, l'ostinazione? Non possiamo fermarla, solo ascoltarla. E ascoltati e godi di ogni singola nota, parola, bisbiglio o fruscio che riesci a ricevere. 


Va bene

Poichè tu cosi' hai detto,
Li hai respirati fuori
Ordinati con cura,
Nell'aria, a essere. 

Essi lavorano in squadra,
Sebbene fuori dal tempo.
Ciò che vedi li raggiungerà
La tua fede li nutre.

Non è bugia
A meno che tu non creda.


Y. Setchan

venerdì 25 novembre 2011

Il colore di questi passi



Non c'è, non c'è stato un momento preciso in cui sia incominciato il viaggio. Qualcuno dice che esista un unico filo rosso invisibile che leghi tutti i momenti della nostra vita l'uno con l'altro. E spesso seguire quel filo significa lasciarsi al vento. Qualche dettaglio risuona nella nostra fantasia mentre camminiamo e cattura la nostra attenzione, così scegliamo che strada prendere. Non conosciamo nemmeno il percorso che stiamo facendo, né dove possa condurre, ma solo nel finale, visti dove siamo giunti, ci si può accorgere che l'unico e solo destino che esista è quello tracciato dall'orma dei nostri passi.
Nitidamente ricordo un giorno in cui, da ragazzo, sfogliando una rivista qualunque mi sono imbattuto in una foto particolarmente suggestiva, una scena evocativa e intrigante. Qualcosa in quei colori deve avermi tolto il fiato se ancora oggi conservo appeso, a fianco del comodino, quel ritaglio di carta spiegato e impallidito agli anni. Ritrae un uomo vestito completamente in bianco ai piedi di una statua di pietra. Guarda verso l'alto mentre versa del latte sulla roccia per lucidarla e lavarla. Si tratta di un jainista, seguace di una religione antica; l'unica cosa che mangia quest'uomo oltre alle radici secche di alcuni arbusti è il latte; la statua è un monolito scolpito e sottratto alla terra, si trova in cima ad un colle vicino ad un paesino nel sud dell'India, Shravanabelagola, è alto oltre diciassette metri ed ha più di mille anni. Mi è tornata alla mente questa immagine lo scorso inverno, quasi dieci anni dopo averla rubata alla smemoratezza: fumavo una sigaretta alla fermata dell'autobus, ho guardato per terra ed ero circondato da mozziconi spenti. Mi son chiesto cosa avrebbe potuto dire o pensare un bambino, chissà, probabilmente non lo avrebbe nemmeno notato; quando invece succede che l'uomo nella foto ha percorso chilometri per giungere al colle, con il suo solo manto bianco ed una scopa, spazzando la strada di fronte a sé per evitare di calpestare foss'anche il più piccolo degli insetti. La domanda che mi stavo ponendo era: “Come potrei mai spegnere una sigaretta sul ventre di nostra Madre?”. Certo è solo asfalto. Ma deve esserci qualcosa nell'aria, nei sassi, dentro gli stessi pensieri, le sensazioni. Qualcosa tra noi, se anche queste piccole inezie possono farmi cambiare e crescere. “Insignificante”, ho pensato, è una parola che non può essere attribuita a niente, è appunto priva di significato. Deriva dal latino signum, cioè segno, la cui radice europea è sak- che innanzitutto significa. E il suo significato è «dire», «mostrare». Insignificante è dunque tutto ciò che non può esprimersi, che non ha voce. Eppure, sarà solo un'impressione, ma a me pare che ogni cosa qui abbia qualcosa da dire, stia parlando del sé. Forse è questa l'unica vera legge del regno naturale: esprimersi, liberarsi, cantare. E capita certe volte, senza nemmeno accorgersene, di riuscire ad ascoltare e sentire le note. Personalmente non ho mai più gettato una sigaretta alla terra. Ed è strano pensare a quel giorno, quando ancora non sapevo che sarebbe trascorsa solo qualche settimana prima di vedermi all'agenzia di viaggi acquistare un biglietto aereo per Mumbai. Ma cosa è successo? Dov'è finito il nastro rosso in tutto questo? Mi chiedo se per la ragione sia davvero una necessità attribuire un senso agli eventi e agli avvenimenti che ci toccano. Perché francamente trovo difficile descrivere, ci sono cose che non possono condividersi, e quando le vediamo semplicemente le riconosciamo nostre, per noi: queste cose ci scelgono.
Ricordo quel pomeriggio guardavo la televisione. Trascorrevo un periodo di studio ad Helsinki, in Finlandia, ed ero in compagnia di una ragazza giapponese conosciuta in studentato, un'amica jinn di nome Koko. In quel momento di svago ci siamo messi a cantare la filastrocca di un cartone animato trasmesso dalla scatola nera parlante, si intitolava: “The Best Day Ever”, il miglior giorno di sempre. Il protagonista si sveglia, salta giù dal letto, fuori il Sole lo guarda e gli sorride, si lancia allora verso un calendario grande come la parete cadendo su un giorno qualsiasi, poi continua a cantare. Nel nostro gioco abbiamo battezzato quel giorno del calendario come il migliore di sempre: il tre di marzo. Sono trascorsi due anni da allora quando lei mi ha scritto: “Hai il tempo per avere un viaggio?”. E ora tutto questo mi sembra sciocco, solo un ritaglio sbiadito appeso al muro, un cartone animato per bambini. Sono soltanto il seme di un'attrazione divenuta ormai viscerale per un mondo nuovo sconosciuto, distante ed escluso da ogni rotta di viaggio del mio quotidiano. Ho pensato: "Questa è la mia occasione di entrare nella foto". Tutto il resto è venuto da sé. Koko ed io abbiamo dunque concordato di incontrarci a metà strada fra Giappone e Italia. Per pura coincidenza i nostri voli sono atterrati alla vecchia Bombay la stessa mattina con la differenza di poche ore. Ci siamo incontrati immediatamente e mi è sembrato di rivedere la sorella con cui sono cresciuto dopo tanto tempo in un luogo risiedente fuori dal mio immaginario. L'impatto del giorno è stato incredibile, era appena l'alba quando la città si è messa in moto poco a poco. Ci siamo subito immersi nella corrente. Il profumo di un ricordo atavico, la luce resta sospesa in un'aria languida, il Sole immobile mentre compie il suo giro dona vita ad ogni cosa, calore latente, per la prima volta ho creduto che gli alberi potessero muoversi, ma che nella loro saggezza scegliessero ogni giorno di restare fermi ed impassibili, ad ascoltare e ricevere la luce degli astri, sola vittoria sulla polvere nella semplicità di una foglia. I banyan sono gli alberi simbolo di questo paese, se lasciati crescere possono coprire ettari di superficie e vivono per centinaia di anni; il segreto della loro magnificenza risiede nel fatto che da ogni ramo che crescendo punta verso il cielo pendono rami che scelgono di tornare verso la terra. Una volta raggiunto di nuovo il suolo infatti formano nuove radici e si invigoriscono fino a divenire nuovi fusti per l'albero. Giunge il giorno in ogni essere di condividere questa sensazione, quando in ogni dove si posi lo sguardo si scorge il riflesso di un cammino ordinato. Da poco trascorsa l'alba, la mia compagna ed io sedevamo su un treno, mancava poco al nostro giorno e c'era un luogo che dovevamo raggiungere.
Quest'anno il calendario lunare degli induisti ci ha fatto un regalo: il tre di marzo si celebrava la "Grande Notte di Lord Shiva", Maha Shivaratri. Ho il cuore sgombero da ogni dubbio o pensiero, non ci sono domande da fare: noi non potevamo mancare. Siamo stati così cullati dai binari per dodici ore circa diretti a sud. Le immagini scorrono davanti agli occhi, lentamente il paesaggio si trasforma, la vegetazione si esprime ad un clima diverso, le case invece ad una vita ed un lavoro diversi. Ogni tanto si scorge una metropoli di grattacieli, cemento e palazzoni, altre volte si trovano villaggi di fango e sabbia. Passata la notte, la mattina del nostro miglior giorno di sempre, due autobus ci hanno condotti a Gokarna, il cuore della festività in onore al dio danzatore. Si tratta di un piccolo paese sul mare circondato da bosco e giungla. Qui una volta l'anno giungono viandanti e pellegrini da chissà dove a porgere le proprie offerte alla divinità. Anche quel giorno il Sole vantava la sua gioia sul suo creato, trascorsa infatti la stagione delle incessanti piogge dei Monsoni in estate, si rischia di non vedere una nuvola per mesi e mesi. La strada principale del villaggio conduceva al tempio dove fin dalle prime ore del giorno i fedeli avanzavano in fila, scalzi e con nelle mani foglie, fiori, noci di cocco e banane; in più qualcuno arrivato dal nord reggeva vasi di rame colmi d'acqua: "E' l'acqua del Gange", ci ha spiegato una donna. La portano in vasi scoperti per oltre mille chilometri per versarla sul caldo Lingam di Shiva, la rappresentazione fallica del dio, fatta di pietra e custodita nel tempio, un simbolo ancor più antico della stessa dottrina religiosa. L'abbaglio della luce sulla polvere della strada impallidiva l'aria. Il percorso è costernato di bazar e bancarelle, venditori ambulanti e bambini. In fondo al cammino si erge un imponente carro di legno, dipinto e vestito con teli e bandierine colorate. Ci avviciniamo. Cammino piano e non sento nessuna stanchezza. Ci fermiamo ai piedi del carro, c'è un uomo seduto su un tappeto che ci mostra il suo banchetto. Ha tre linee bianche disegnate sulla fronte, è un monaco e vende ogni genere di artigianato locale. Qui ho trovato il mio gigante di pietra, i rami sono tornati radici. Lo guardiamo mentre afferra la grossa conchiglia di un tritone marino, la porta alla bocca e soffia con forza. Il suono è fresco, profondo, intenso, il petto vibra mentre mi nasce un sorriso. Non avevo mai udito niente di simile e la gioia di essere qui mi invade, faccio fatica a credere come questo momento mi stesse aspettando. Il cuore è ora completamente aperto. E sento allora una lieve carezza sulla testa, sulla guancia, soffice, delicata. Mi volto, guardo intorno, ma non vedo nessuno, mi sento stranito mentre il richiamo della conchiglia permea e pervade ogni cosa intorno. "Qualcuno mi ha appena dato una carezza". Guardo ai miei piedi e finalmente lo vedo, si sarà staccato dal carro, è un fazzoletto di tela, è rosso.


domenica 18 settembre 2011

Radio Oksa

Una Sola Cenere





"Le foglie al vento sembrano pioggia"

"I rami tra i raggi sono crepe nel cielo"

"Libertà. Sì, sentire e vedere. Scorgere e distinguere, tutta questa meraviglia..
Come mai allora sono così felice di sapere che questa sera, alla Luna, faremo un falò?"

domenica 11 settembre 2011

Sconto di 100€ per un viaggio a Malta se partite in 2


Ciao fratello,
come stai? Che fai? Le cose che pensi, che cosa senti? Io credo Charlie tu sia l'unica persona che possa capire, o anche solo immaginare, quello che provo. Mi manchi. Complicità, ma soprattutto la forza, il coraggio di credere in noi. Gli stessi, ma ora qui e là, un po' dispersi dai sentieri, le ragnatele, le profondità degli abissi, le maschere. Quest'occhio di cristallo che ci permette di vedere chiaramente intorno, mentre giochiamo un'altra mano, ci lasciamo ingannare.
Dunque torno a casa, guardo il ponte sui binari: la neve si è sciolta. Il Sole del mattino è il mio tramonto. Sono solo, ho messo gli occhiali e penso. Ad una foto che ho visto, non avevo mai pensato quella parola su di me. D'improvviso mi è dunque tutto chiaro, vedo tutti i giorni e le notti che ho avuto: sono io, ora. E' opera mia. E mi pare che nulla sia stato mai così confortevole, liberatorio e rasserenante del sapere di essere un perdente. Per aver smesso di credere in me, in te, in noi. Spodestato il Cosmo dal suo trono in me, sono ora io a farmi gioco di lui e bramo vederlo stare allo scherzo. Così raccolgo dagli angoli, giunto a casa, e faccio una borsa di tutti i sogni ricevuti: questo è il mio tributo al fuoco. Il sacrificio di un sogno che ho avuto per ottenere un istante di vita. Ancora.
Devo dirti grazie per questo, sei un eroe.

http://wayseermanifesto.com/

lunedì 5 settembre 2011

Lightmare I - Vado allo Scalo


E' notte inoltrata, quasi giorno, e sono allo scalo del porto. Ci sono alcuni amici con me in cerca di qualche cosa, non so di preciso, non mi interessa. Mi dirigo solo verso grandi container da carico ed entro: io sono in cerca di un bagno. Mi accorgo che siamo in movimento e ci dirigiamo verso la nave quando trovo finalmente il cesso, è un semplice water poggiato in cima ad uno di questi ora giganteschi container, non ci sono pareti, ma la cosa non mi turba. Mi siedo e comincio a cagare. Poi vedo alcune persone vestite di blu andare avanti e indietro, sono gli addetti ai lavori immagino. Così uno di loro si avvicina, mi offre dei tovaglioli di carta e aggiunge: "Dovresti mangiare vegano sai? Dall'odore .." si tocca il naso "..si direbbe che non hai un'alimentazione particolarmente equilibrata, mangi troppa carne". "Beh grazie!" dico io. Sento allora qualcuno che urla dalla strada verso noi. Vedo un gruppo di numerose persone: donne, uomini, vecchi e giovani, ci sono famiglie intere; appaiono molto folkloristici, hanno vestiti eleganti e pomposi, colorati ed elaborati, hanno tutti le valigie e vogliono salire sulla nave, mi sembrano usciti da un quadro dell'ottocento. L'uomo in blu replica allora di aver stabilito un altro giorno per la loro partenza, ma la folla in strada non ne vuole sapere, sono tutti pronti a partire. Forse non hanno il biglietto, sono clandestini, è mattino presto, c'è ancora buio. L'uomo in blu parla loro, un lungo discorso, ma non riesco a comprendere cosa dica, non sta parlando con le parole, difficile descrivere, quando d'improvviso tutto si è trasformato in una recita, un teatro e sono tutti degli attori in scena, mentre io sono sul palco e seduto sul cesso in cima al container mi sento il re, come se quella fosse la mia parte nello spettacolo. Sento una musica, appaiono allora alcune ragazze di fronte a me e intonano al canto strane filastrocche. E' stato allora che ti ho vista. Canti timidamente con voce dolce e soffusa, hai un vestito bianco e il tuo volto, non lo avevo riconosciuto subito, mi sembri una bambina, sei una meraviglia ed io mi sento morire, non riesco a crederlo, tu sei veglia nel mio sogno. Il petto mi sta esplodendo, mi alzo, ripenso all'ultima volta che ti avevo incontrata, non ci siamo detti niente. Ascolto ogni sillaba dell'incantesimo mentre mi guardi, poi scendo, vado in strada in mezzo alla gente, non riesco a voltarmi indietro. Ormai è venuto il giorno, la luce è chiara e fulgida, tiepida, forse il Sole è diventato trasparente ora. Arrivo ad un muretto, metto le mani nelle tasche e le svuoto sulla pietra. Ci sono oggetti che non identifico, non riesco a vederli nitidamente, ma formano un puzzle su quel muro: le forme e i colori si uniscono, si incastrano ed è completo ormai, si vede qualcosa, forma un disegno, ma manca l'ultimo pezzo. Non c'è, si è perso, forse non lo ho avuto mai non so, ma su questo io mi affrango, mi sbriciolo, sono a terra e mi sto dissolvendo, le guance sono ora completamente bagnate dalle lacrime. Tu ti avvicini e mi abbracci da dietro, guardi il mio rompicapo incompleto, guardi dentro il mio dispiacere, dici: "Non importa".
Il resto è vago e confuso, non posso nascondere le lacrime, la gioia e l'estasi per quello che mi hai detto, ma nemmeno tutto quel dispiacere e tormento che non si sono espressi mai, che sono rimasti qui, mentre tu mi presenti alcune delle persone in strada, amici, attori, mi sembra di conoscerli anche se hanno volti mai visti prima. Sono sovrafatto dalle emozioni. Poi ci siamo imbarcati, non ho idea di dove siamo andati, ricordo fiumi di acqua cristallina, una cascata e alcune imponenti statue completamente dorate. Ma cosa importa?! Mi sono svegliato, commosso, la finestra aperta e fuori la pioggia. Mi sono alzato e sono andato in sala. Tu mi hai servito il caffè. Abbiamo fatto colazione. Non ho mai scritto questa storia.

martedì 30 agosto 2011

Con un bicchiere d'acqua


L'inverno scorso ho fatto un esperimento. Mentre cucinavo il sole abbagliante illumina la mia stanza. Penso che vorrei stupire la mia vicina di casa Will. Con tono deciso una settimana prima le avevo confessato il mio profondo affetto: "Sei una divina ispirazione continua". Dopo mangiato esco e casualmente la incontro sul pianerottolo con due borse di spesa. Così senza rivelare i dettagli dell'idea che avevo avuto quella mattina, la convinco a tornare al centro commerciale con me ed aiutarmi nella realizzazione dell'esperimento.
- E' per provare l'esistenza di un dio - le dico.
- Ma come pensi di fare? - risponde - chiedendogli un miracolo?
Al centro commerciale cerchiamo un fioraio e troviamo meravigliose orchidee molto diverse fra loro. Allora le spiego:
- Tu scegli tre orchidee diverse. Le cresceremo insieme, ma parleremo loro in differenti maniere, ci comporteremo con loro in maniere diversa.
- E che cosa dovrebbe succedere? - Replica.
- Ne scegliamo una alla quale resteremo sempre indifferenti. Una l'ameremo alla follia e l'altra la odieremo e disprezzeremo. Ti piace? Possiamo svelare così dove si cela la bellezza e la vita.
Lei mi guarda confusa. Will quel giorno portava dei jeans verdi e un maglione leggero di colore giallo, lei ha i capelli arancioni.
E replica alla mia convinzione:
- Ma non si può scegliere che cosa amare. -
Will ed io non abbiamo mai fatto all'amore, nemmeno un bacio. Vivemmo accanto cinque mesi in tutto con grande e forte affetto e stima reciproca. Ricordo lunghe luminose giornate con lei e tante variopinte occasioni per sorprendersi.
-E' vero - le dissi - ma se sarai tu a scegliere, sarà facile per me volerle bene. - - Va bene. - Disse, risate.
Avere un fiore di tale bellezza con cui essere complici è come ricevere un tributo dalla terra alla vita ogni singolo giorno. Donare vita è un arte certe volte tremendamente semplice. Uno scienziato giapponese, Emoto, ha condotto esperimenti su piccole gocce d'acqua. Mostra come sia possibile alterare la struttura dell'acqua trasmettendo il proprio stato emozionale. Come se l'acqua fosse dotata di una certa memoria empatica. Da lui presi lo spunto per l'esperimento. Le immagini dell'articolo a riguardo che avevo letto erano molto suggestive: si vedeva, congelando le gocce, come nascessero strutture ordinate, cristalli simili a fiocchi di neve, nelle gocce adorate, amate, benedette da un monaco buddhista o quelle a cui un cantante folk cantava una canzone popolare, o ancora, cristalli diversi per sentimenti di gratitudine, di pace. Altre immagini invece mostravano la nascita di disordine e caos nelle gocce cui erano state trasmesse sensazioni negative come rabbia, disprezzo; instabilità totale, per esempio, nel trasmettere l'idea della morte. Uno studio a mio parere illuminante che abbiamo voluto sperimentare sulle orchidee. Sarà vero che non sempre possiamo scegliere i nostri sentimenti, ma si svela qui un potere enorme che tutti condividiamo: provare qualcosa per qualcuno risulta determinante in una parte della nostra più profonda intimità. "Per due terzi almeno siamo fatti d'acqua". Pensavo. "Il contatto che abbiamo con le cose che ci circondano è ben più profondo di quanto immaginassi".
- Sono certo Will che il fiore a cui vorremo bene non perderà mai tono e vivrà molto più a lungo, forse in eterno! -
Sorrise lei, probabilmente le sembrava un'idea assurda.
Dove lavoro oggi certe mattine e certe nottate quei tanti sorrisi illuminano un angolo della mia testa. Anche se questi lampi non sempre giungono fino all'altra estremità, quella rivolta verso letti vuoti sempre occupati, verso scaffali di farmaci più o meno efficaci o potenti, che spesso curano e spesso cancellano, verso gli sguardi più o meno presenti di fiori che talvolta finiscono per confondere il muro per la finestra, il neon per il sole. Nitidamente però ricordo e immagino tante cose.
I tre eletti li portammo a casa di Will, che scelse un fiore viola e leggermente più vecchio da amare: Meraviglia. Quello rosa era Disgustoso e il bianco Niente. Io finivo per cantare intere canzoni di amore o con lo sbraitare e imprecare ad alta voce. Lei parlava loro molto teneramente, al bianco al centro ogni tanto diceva en passant: - Tu? ..Niente! - Mentre a Disgustoso parlava poco, limitandosi a frasi come: - E' molto triste che tu debba morire.
Provare l'esistenza di un dio non m'interessava realmente, da tanto mi divertivo a mostrare a Will la maniera unica in cui ogni uomo sa amare. Così come mostravo come si conoscono l'odio e il rancore, il risentimento. Esilerante.
Se i miei pazienti potessero specchiarsi in me credo molti riconoscerebbero tal fiore arancione al centro e viola intorno, come amaii tale Meraviglia.
L'esperimento fallì. Nei primi cinque giorni ci fu un cambiamento particolarmente rilevante, quasi schiacciante: Disgustoso effettivamente abbruttì nonostante fosse il più giovane, mentre il bello si mostrava profondo, dagli innumerevoli riflessi, vivo acceso. Probabilmente anche la mia stessa percezione della bellezza in essi era mutata. Il trio si affacciava dalla stessa finestra, il paesaggio non lasciava spazio al colore, tutto era bianco, completamente. Il primo non riuscimmo a salvarlo, appassì molto velocemente; dopo un paio di settimane cercavamo di riscattarci dalla nostra crudeltà nel averli succhiatto la vita, dunque lo adoravamo e veneravamo costantemente. Buttai Disgustoso che puzzava di marcio. Meraviglia invece ebbe un trattamento diverso: soffocava, lentamente. Non sempre è facile esprimersi, ho la sensazione ora che il piacere provato nell'affermare il mio amore le togliesse a poco a poco il respiro, lo pneuma. Tagliai  foglie e fiori e radici morte e la travasai in un vasetto dello yogurt più piccolo, diceva "Isabella", mi pareva perfetto. In un angolo ora tra due finestre la contemplavo continuamente, tanto. Un cd rifletteva la luce del Sole sul suo viso, piccole casse praticamente sempre accese trasmettevano interi concerti. Koko, un'amica jinn, un giorno portò un biglietto, diceva: "La prova vivente della Bellezza del Mondo". Mi sono spesso sentito veramente afflitto a guradarla, l'accompagnavo lentamente alla morte, il suo naturale corso. Tale orchidea era ormai divenuta un simbolo ed io mi ostinaii con tutta la volontà di cui sono abile, la amaii per davvero fino alla follia.. Ma cos'è allora una storia d'amore? Che cosa vedono i vetri delle finestre di questo ospedale? Vedono le smorfie e l'assenza dei tanti pochi che ogni ora arrivano, per giorni restano e in un istante lasciano, i letti, i corridoi, le sedie con le ruote e i camici pallidi e i carrelli e queste stesse finestre con le cornici in versi. E che cosa ha visto Meraviglia in me da scegliere di divenire lo specchio della mia solitudine? A morirsi come niente mai in questa terra dovrebbe. Eppure, dopo le tante strategie, una sera la portai al cimitero per seppellirla, darla alla terra dei morti. Un vasto parco che costeggiava tutta la strada per arrivare da casa mia al mare. Era da poco Aprile, ma ancora il manto di neve copriva le tombe stesse e uno spesso strato di ghiaccio mi impedì di raggiungere la terra. In quel momento la disperazione mi ha invaso, ha preso il controllo di me. Ho sferrato pugni e calci sul ghiaccio, ho picchiato con sassi e bastoni, ma tutto è rimasto immutato, identico, indifferente: il cuore stesso era ormai divenuto ghiaccio. E non ho compreso mai come è potuto succedere. Proprio a me, che lo avevo creduto tanto, come ho fatto a permetterlo? La stessa terra madre mi ha negato allora il battito. Terribile. Dopo qualche minuto ho infine messo la pianta nel recipiente di un cero, ho sostituito la neve alla terra e ho poggiato i resti al fianco di una lapide a ricordare una cosa forse stupida, sicuramente ingenua: noi non siamo piante. Già.
Guardo ora i loro occhi stanchi e questa storia mi torna alla mente. Non sono un medico, non decido di loro le medicine, le terapie. Semplicemente ad ogni turno porto un po' d'acqua.


http://whatthebleep.com/crystals/

giovedì 14 luglio 2011

Il ripieno di un pupazzo di stoffa

Al mio dubbio al mio timore alle radici morte ai rami stanchi e finiti a quella terra marcia a una fede falsa a quel monte profondo affondato e al mare nel cielo infinito nella contraddizione al mio non comprendere la fine la ragione di una strada scelta ma già in principio decisa a tutto ciò di mio come tutto questo che mio non è stato mai che resta qui nel ventre di un ricordo sepolto ora alla terra di sud di una nascita ogni volta nuova ogni volta bagnata dal verde. Ti perdono, respiro, perdono la muerte por lo que nos hizo perdono a me di quella danza e di quel tributo per le cicatrici che ancora sanguinano e gli squarci che non più si vedono.
Questa è la lettera di un suicida che la ha amata tanto e sopravvive alla vita.

 Edward James

venerdì 8 luglio 2011

Non ho domande da farti



Godersi la vita significa per me fare una passeggiata nel bosco, stare con mio padre, levigare una piedra, sottolineare una frase, conoscere il nome tuo, premere il bottone >, sedere sotto un albero con i piedi nell'acqua, togliermi le scarpe, scrivere M sul mare di ghiaccio, guardare mia madre quando crede di essere sola, sapere che i miei giorni sono solo il punto di equilibrio tra l'immaginario e il reale, danzare, danzare solo, trovarmi in luoghi dove sia io l'unico a dare esistenza alle cose, attendere un istante prima di mangiare, prima di svegliarmi, passare davanti alla salagiochi ma avere troppo da fare per potermi fermare, sentire che questo profumo è rimasto lo stesso. Sapere che ci guardiamo ora con occhi diversi, poterti guardare, avere un momento di silenzio tra i nostri ricordi più belli, ascoltare ora l'incredibile storia di quel vecchio seduto solo, simulare un abito, vedere come cambia dopo aver fatto l'amore, sorprendermi a fare qualcosa di tremendamente stupido, pregare per i vivi, ci sono cose che nessuno può togliermi, sapere che nella stanza accanto c'è qualcuno che amo, c'è qualcuno come me, e anche se non condivido questo momento non sono solo, curarmi, esiste anche ciò che non posso vedere, bagnarmi il viso di cenere, calciare la sabbia al vento, cavalcare, fare un salto nel vuoto, ascoltare le onde fino al sogno, sentire che anche il cuore è riuscito a perdonare. Disinteressarmi se il pesce abbocca, fissare il Sole, scrivere sulla lavagna, cancellare e ricominciare a scrivere, parlare con gli uccelli, credere che questa canzone  sarà il neon caldo per la falena della mia inquietudine, sapere che questo stesso giorno ritornerà, sono stato io a fermare i rami dell'albero, mi commuovo e il film non è ancora iniziato, la cintura di Orione, immaginare che anche chi vive sopra le nuvole vede l'alba del nuovo giorno. Non c'è tormento qui, solo le onde del mare sulla pietra e quiete. Tutto ciò in cui credo mi ha condotto qui, su questo scoglio, seduto, e non importa quante volte ancora dovrò morire, dimenticare, sognare e risvegliarmi. Aspetterò che questo oceano infinito ti porti a me una volta ancora come una conchiglia. Il mio nome è Χρυσοῦς e sono filgio del Sole, cammino su raggi dorati come l'abbaglio delle nuvole riflesse sull'acqua.