mercoledì 21 dicembre 2011
sabato 3 dicembre 2011
Ante-prima dell'alba
Amico mio, va tutto bene.
Non è stato un sogno solamente. Quanti corvi sono passati dall'ultima volta che ci siamo sentiti? Quanto è durata la notte?
Ironicamente
nemmeno ricordo a cosa stessi pensando. Mi avevi scritto allora: "Amico
solo col buio puoi notare la volta di stelle, come potremmo orientarci,
farci guidare, trovare la strada se non cadesse il nostro Sole ogni
tanto dietro l'orizzonte? Fa sempre
ritorno..".
Sono stato dunque uno sciocco ad avere paura: la
candela consuma la cera, le ombre crescono, fuori viene freddo, è come
l'ultimo taglio di un'aria fin troppo sottile. Mi sono
abbandonato, seppur ancora non spiego cosa mi abbia spinto a restare.
Ogni cosa ogni gesto è diventato infatti terribile, più nulla poteva
essere fatto a favore o contro la vita. Un nero denso gelido opaco ha
offuscato penetrato e soffocato il cuore di tutti gli uomini. La parola
si è persa e le ceneri sono finite negli occhi. Questo ineffabile gioco
era già finito senza che lo sapessimo, non più siamo stati capaci in quel
eterno attimo, di sognare. Di creare, di immaginare, di illudersi, di
ridere, sorridere, stare allo scherzo, di commuoverci. Vuoti soltanto
immobili. Inabili a sentire provare percepire, accecati e paralizzati in
una mezza notte che nulla ha avuto di diverso da tutte le altre. Solo
privati del battito che unisce ogni cosa, ogni essere;
spezzato ogni legame con la vita, l'amore.
Fino a questa
nuova alba, questo nuovo giorno, da cui ora ti scrivo un messaggio che
pretendeva essere in fondo semplice. Solo ora che il bagliore può
scaldare il petto, darmi la leggerezza indispensabile necessaria a non
infrangere più il fiato. Respira. La notte è stata profonda, il mondo è
profondo, come il tuo cuore di uomo. Fai ritorno amico al luogo in cui
vivi, guardati intorno, le case, le strade, gli alberi, le persone, le
finestre e di nuovo domandati che cosa ne abbiamo fatto di questa nostra
madre? Come mai pare cosi difficile riconoscerla? Non senti anche tu
l'incessabile ticchettio? Come una pioggia infinita, della vita unica di
questa Terra che si accende e si spegne in ogni dove, perpetua ancora ed
una volta ancora di nuovo come se ogni attimo fosse tutta l'eternità. A
cosa devi l'esitazione, l'ostinazione? Non possiamo fermarla, solo
ascoltarla. E ascoltati e godi di ogni singola
nota, parola, bisbiglio o fruscio che riesci a ricevere.
Va bene
Poichè tu cosi' hai detto,
Li hai respirati fuori
Ordinati con cura,
Nell'aria, a essere.
Essi lavorano in squadra,
Sebbene fuori dal tempo.
Ciò che vedi li raggiungerà
La tua fede li nutre.
Non è bugia
A meno che tu non creda.
Y. Setchan
venerdì 25 novembre 2011
Il colore di questi passi
Non c'è, non c'è stato un momento preciso in cui sia incominciato il viaggio.
Qualcuno dice che esista un unico filo rosso invisibile che leghi
tutti i momenti della nostra vita l'uno con l'altro. E spesso seguire
quel filo significa lasciarsi al vento. Qualche dettaglio risuona
nella nostra fantasia mentre camminiamo e cattura la nostra
attenzione, così scegliamo che strada prendere. Non conosciamo
nemmeno il percorso che stiamo facendo, né dove possa condurre, ma
solo nel finale, visti dove siamo giunti, ci si può accorgere che
l'unico e solo destino che esista è quello tracciato dall'orma dei
nostri passi.
Nitidamente
ricordo un giorno in cui, da ragazzo, sfogliando una rivista
qualunque mi sono imbattuto in una foto particolarmente suggestiva,
una scena evocativa e intrigante. Qualcosa in quei colori deve avermi
tolto il fiato se ancora oggi conservo appeso, a fianco del comodino,
quel ritaglio di carta spiegato e impallidito agli anni. Ritrae un
uomo vestito completamente in bianco ai piedi di una statua di
pietra. Guarda verso l'alto mentre versa del latte sulla roccia per
lucidarla e lavarla. Si tratta di un jainista, seguace di una
religione antica; l'unica cosa che mangia quest'uomo oltre alle
radici secche di alcuni arbusti è il latte; la statua è un monolito
scolpito e sottratto alla terra, si trova in cima ad un colle vicino
ad un paesino nel sud dell'India, Shravanabelagola, è alto oltre
diciassette metri ed ha più di mille anni. Mi è tornata alla mente
questa immagine lo scorso inverno, quasi dieci anni dopo averla
rubata alla smemoratezza: fumavo una sigaretta alla fermata
dell'autobus, ho guardato per terra ed ero circondato da mozziconi
spenti. Mi son chiesto cosa avrebbe potuto dire o pensare un bambino,
chissà, probabilmente non lo avrebbe nemmeno notato; quando invece
succede che l'uomo nella foto ha percorso chilometri per giungere al
colle, con il suo solo manto bianco ed una scopa, spazzando la strada
di fronte a sé per evitare di calpestare foss'anche il più piccolo
degli insetti. La domanda che mi stavo ponendo era: “Come potrei
mai spegnere una sigaretta sul ventre di nostra Madre?”. Certo è
solo asfalto. Ma deve esserci qualcosa nell'aria, nei sassi, dentro
gli stessi pensieri, le sensazioni. Qualcosa tra noi, se anche
queste piccole inezie possono farmi cambiare e crescere.
“Insignificante”, ho pensato, è una parola che non può essere
attribuita a niente, è appunto priva di significato. Deriva dal
latino signum, cioè segno, la cui radice europea è sak-
che innanzitutto significa. E il suo significato è «dire»,
«mostrare». Insignificante è dunque tutto ciò che non può
esprimersi, che non ha voce. Eppure, sarà solo un'impressione, ma a
me pare che ogni cosa qui abbia qualcosa da dire, stia parlando del
sé. Forse è questa l'unica vera legge del regno naturale:
esprimersi, liberarsi, cantare. E capita certe volte, senza nemmeno
accorgersene, di riuscire ad ascoltare e sentire le note.
Personalmente non ho mai più gettato una sigaretta alla terra. Ed è
strano pensare a quel giorno, quando ancora non sapevo che sarebbe
trascorsa solo qualche settimana prima di vedermi all'agenzia di
viaggi acquistare un biglietto aereo per Mumbai. Ma cosa è successo?
Dov'è finito il nastro rosso in tutto questo? Mi chiedo se per la
ragione sia davvero una necessità attribuire un senso agli eventi e
agli avvenimenti che ci toccano. Perché francamente trovo difficile
descrivere, ci sono cose che non possono condividersi, e quando le
vediamo semplicemente le riconosciamo nostre, per noi: queste cose ci
scelgono.
Ricordo
quel pomeriggio guardavo la televisione. Trascorrevo un periodo di
studio ad Helsinki, in Finlandia, ed ero in compagnia di una ragazza
giapponese conosciuta in studentato, un'amica jinn di nome Koko. In
quel momento di svago ci siamo messi a cantare la filastrocca di un
cartone animato trasmesso dalla scatola nera parlante, si intitolava:
“The Best Day Ever”, il miglior giorno di sempre. Il protagonista
si sveglia, salta giù dal letto, fuori il Sole lo guarda e gli
sorride, si lancia allora verso un calendario grande come la parete
cadendo su un giorno qualsiasi, poi continua a cantare. Nel nostro
gioco abbiamo battezzato quel giorno del calendario come il migliore
di sempre: il tre di marzo. Sono trascorsi due anni da allora quando
lei mi ha scritto: “Hai il tempo per avere un viaggio?”. E ora
tutto questo mi sembra sciocco, solo un ritaglio sbiadito appeso al muro,
un cartone animato per bambini. Sono soltanto il seme di
un'attrazione divenuta ormai viscerale per un mondo nuovo
sconosciuto, distante ed escluso da ogni rotta di viaggio del mio
quotidiano. Ho pensato: "Questa è la mia occasione di entrare
nella foto". Tutto il resto è venuto da sé. Koko ed io
abbiamo dunque concordato di incontrarci a metà strada fra Giappone
e Italia. Per pura coincidenza i nostri voli sono atterrati alla
vecchia Bombay la stessa mattina con la differenza di poche ore. Ci
siamo incontrati immediatamente e mi è sembrato di rivedere la
sorella con cui sono cresciuto dopo tanto tempo in un luogo
risiedente fuori dal mio immaginario. L'impatto del giorno è stato
incredibile, era appena l'alba quando la città si è messa in moto
poco a poco. Ci siamo subito immersi nella corrente. Il profumo di un
ricordo atavico, la luce resta sospesa in un'aria languida, il Sole
immobile mentre compie il suo giro dona vita ad ogni cosa, calore
latente, per la prima volta ho creduto che gli alberi potessero
muoversi, ma che nella loro saggezza scegliessero ogni giorno di
restare fermi ed impassibili, ad ascoltare e ricevere la luce degli
astri, sola vittoria sulla polvere nella semplicità di una foglia. I
banyan sono gli alberi simbolo di questo paese, se lasciati crescere
possono coprire ettari di superficie e vivono per centinaia di anni;
il segreto della loro magnificenza risiede nel fatto che da ogni ramo
che crescendo punta verso il cielo pendono rami che scelgono di
tornare verso la terra. Una volta raggiunto di nuovo il suolo infatti
formano nuove radici e si invigoriscono fino a divenire nuovi fusti
per l'albero. Giunge il giorno in ogni essere di condividere questa
sensazione, quando in ogni dove si posi lo sguardo si scorge il
riflesso di un cammino ordinato. Da poco trascorsa l'alba, la mia
compagna ed io sedevamo su un treno, mancava poco al nostro giorno e
c'era un luogo che dovevamo raggiungere.
domenica 18 settembre 2011
Radio Oksa
domenica 11 settembre 2011
Sconto di 100€ per un viaggio a Malta se partite in 2
Ciao fratello,

Dunque torno a casa, guardo il ponte sui binari: la neve si è sciolta. Il Sole del mattino è il mio tramonto. Sono solo, ho messo gli occhiali e penso. Ad una foto che ho visto, non avevo mai pensato quella parola su di me. D'improvviso mi è dunque tutto chiaro, vedo tutti i giorni e le notti che ho avuto: sono io, ora. E' opera mia. E mi pare che nulla sia stato mai così confortevole, liberatorio e rasserenante del sapere di essere un perdente. Per aver smesso di credere in me, in te, in noi. Spodestato il Cosmo dal suo trono in me, sono ora io a farmi gioco di lui e bramo vederlo stare allo scherzo. Così raccolgo dagli angoli, giunto a casa, e faccio una borsa di tutti i sogni ricevuti: questo è il mio tributo al fuoco. Il sacrificio di un sogno che ho avuto per ottenere un istante di vita. Ancora.
Devo dirti grazie per questo, sei un eroe.
http://wayseermanifesto.com/
lunedì 5 settembre 2011
Lightmare I - Vado allo Scalo
E' notte inoltrata, quasi giorno, e sono allo scalo del porto. Ci sono alcuni amici con me in cerca di qualche cosa, non so di preciso, non mi interessa. Mi dirigo solo verso grandi container da carico ed entro: io sono in cerca di un bagno. Mi accorgo che siamo in movimento e ci dirigiamo verso la nave quando trovo finalmente il cesso, è un semplice water poggiato in cima ad uno di questi ora giganteschi container, non ci sono pareti, ma la cosa non mi turba. Mi siedo e comincio a cagare. Poi vedo alcune persone vestite di blu andare avanti e indietro, sono gli addetti ai lavori immagino. Così uno di loro si avvicina, mi offre dei tovaglioli di carta e aggiunge: "Dovresti mangiare vegano sai? Dall'odore .." si tocca il naso "..si direbbe che non hai un'alimentazione particolarmente equilibrata, mangi troppa carne". "Beh grazie!" dico io. Sento allora qualcuno che urla dalla strada verso noi. Vedo un gruppo di numerose persone: donne, uomini, vecchi e giovani, ci sono famiglie intere; appaiono molto folkloristici, hanno vestiti eleganti e pomposi, colorati ed elaborati, hanno tutti le valigie e vogliono salire sulla nave, mi sembrano usciti da un quadro dell'ottocento. L'uomo in blu replica allora di aver stabilito un altro giorno per la loro partenza, ma la folla in strada non ne vuole sapere, sono tutti pronti a partire. Forse non hanno il biglietto, sono clandestini, è mattino presto, c'è ancora buio. L'uomo in blu parla loro, un lungo discorso, ma non riesco a comprendere cosa dica, non sta parlando con le parole, difficile descrivere, quando d'improvviso tutto si è trasformato in una recita, un teatro e sono tutti degli attori in scena, mentre io sono sul palco e seduto sul cesso in cima al container mi sento il re, come se quella fosse la mia parte nello spettacolo. Sento una musica, appaiono allora alcune ragazze di fronte a me e intonano al canto strane filastrocche. E' stato allora che ti ho vista. Canti timidamente con voce dolce e soffusa, hai un vestito bianco e il tuo volto, non lo avevo riconosciuto subito, mi sembri una bambina, sei una meraviglia ed io mi sento morire, non riesco a crederlo, tu sei veglia nel mio sogno. Il petto mi sta esplodendo, mi alzo, ripenso all'ultima volta che ti avevo incontrata, non ci siamo detti niente. Ascolto ogni sillaba dell'incantesimo mentre mi guardi, poi scendo, vado in strada in mezzo alla gente, non riesco a voltarmi indietro. Ormai è venuto il giorno, la luce è chiara e fulgida, tiepida, forse il Sole è diventato trasparente ora. Arrivo ad un muretto, metto le mani nelle tasche e le svuoto sulla pietra. Ci sono oggetti che non identifico, non riesco a vederli nitidamente, ma formano un puzzle su quel muro: le forme e i colori si uniscono, si incastrano ed è completo ormai, si vede qualcosa, forma un disegno, ma manca l'ultimo pezzo. Non c'è, si è perso, forse non lo ho avuto mai non so, ma su questo io mi affrango, mi sbriciolo, sono a terra e mi sto dissolvendo, le guance sono ora completamente bagnate dalle lacrime. Tu ti avvicini e mi abbracci da dietro, guardi il mio rompicapo incompleto, guardi dentro il mio dispiacere, dici: "Non importa".
Il resto è vago e confuso, non posso nascondere le lacrime, la gioia e l'estasi per quello che mi hai detto, ma nemmeno tutto quel dispiacere e tormento che non si sono espressi mai, che sono rimasti qui, mentre tu mi presenti alcune delle persone in strada, amici, attori, mi sembra di conoscerli anche se hanno volti mai visti prima. Sono sovrafatto dalle emozioni. Poi ci siamo imbarcati, non ho idea di dove siamo andati, ricordo fiumi di acqua cristallina, una cascata e alcune imponenti statue completamente dorate. Ma cosa importa?! Mi sono svegliato, commosso, la finestra aperta e fuori la pioggia. Mi sono alzato e sono andato in sala. Tu mi hai servito il caffè. Abbiamo fatto colazione. Non ho mai scritto questa storia.
martedì 30 agosto 2011
Con un bicchiere d'acqua
L'inverno scorso ho fatto un esperimento. Mentre cucinavo il sole abbagliante illumina la mia stanza. Penso che vorrei stupire la mia vicina di casa Will. Con tono deciso una settimana prima le avevo confessato il mio profondo affetto: "Sei una divina ispirazione continua". Dopo mangiato esco e casualmente la incontro sul pianerottolo con due borse di spesa. Così senza rivelare i dettagli dell'idea che avevo avuto quella mattina, la convinco a tornare al centro commerciale con me ed aiutarmi nella realizzazione dell'esperimento.
- E' per provare l'esistenza di un dio - le dico.
- Ma come pensi di fare? - risponde - chiedendogli un miracolo?
Al centro commerciale cerchiamo un fioraio e troviamo meravigliose orchidee molto diverse fra loro. Allora le spiego:
- Tu scegli tre orchidee diverse. Le cresceremo insieme, ma parleremo loro in differenti maniere, ci comporteremo con loro in maniere diversa.
- E che cosa dovrebbe succedere? - Replica.
- Ne scegliamo una alla quale resteremo sempre indifferenti. Una l'ameremo alla follia e l'altra la odieremo e disprezzeremo. Ti piace? Possiamo svelare così dove si cela la bellezza e la vita.
Lei mi guarda confusa. Will quel giorno portava dei jeans verdi e un maglione leggero di colore giallo, lei ha i capelli arancioni.
E replica alla mia convinzione:
- Ma non si può scegliere che cosa amare. -
Will ed io non abbiamo mai fatto all'amore, nemmeno un bacio. Vivemmo accanto cinque mesi in tutto con grande e forte affetto e stima reciproca. Ricordo lunghe luminose giornate con lei e tante variopinte occasioni per sorprendersi.
-E' vero - le dissi - ma se sarai tu a scegliere, sarà facile per me volerle bene. - - Va bene. - Disse, risate.

- Sono certo Will che il fiore a cui vorremo bene non perderà mai tono e vivrà molto più a lungo, forse in eterno! -
Sorrise lei, probabilmente le sembrava un'idea assurda.
Dove lavoro oggi certe mattine e certe nottate quei tanti sorrisi illuminano un angolo della mia testa. Anche se questi lampi non sempre giungono fino all'altra estremità, quella rivolta verso letti vuoti sempre occupati, verso scaffali di farmaci più o meno efficaci o potenti, che spesso curano e spesso cancellano, verso gli sguardi più o meno presenti di fiori che talvolta finiscono per confondere il muro per la finestra, il neon per il sole. Nitidamente però ricordo e immagino tante cose.
I tre eletti li portammo a casa di Will, che scelse un fiore viola e leggermente più vecchio da amare: Meraviglia. Quello rosa era Disgustoso e il bianco Niente. Io finivo per cantare intere canzoni di amore o con lo sbraitare e imprecare ad alta voce. Lei parlava loro molto teneramente, al bianco al centro ogni tanto diceva en passant: - Tu? ..Niente! - Mentre a Disgustoso parlava poco, limitandosi a frasi come: - E' molto triste che tu debba morire.
Provare l'esistenza di un dio non m'interessava realmente, da tanto mi divertivo a mostrare a Will la maniera unica in cui ogni uomo sa amare. Così come mostravo come si conoscono l'odio e il rancore, il risentimento. Esilerante.
Se i miei pazienti potessero specchiarsi in me credo molti riconoscerebbero tal fiore arancione al centro e viola intorno, come amaii tale Meraviglia.
L'esperimento fallì. Nei primi cinque giorni ci fu un cambiamento particolarmente rilevante, quasi schiacciante: Disgustoso effettivamente abbruttì nonostante fosse il più giovane, mentre il bello si mostrava profondo, dagli innumerevoli riflessi, vivo acceso. Probabilmente anche la mia stessa percezione della bellezza in essi era mutata. Il trio si affacciava dalla stessa finestra, il paesaggio non lasciava spazio al colore, tutto era bianco, completamente. Il primo non riuscimmo a salvarlo, appassì molto velocemente; dopo un paio di settimane cercavamo di riscattarci dalla nostra crudeltà nel averli succhiatto la vita, dunque lo adoravamo e veneravamo costantemente. Buttai Disgustoso che puzzava di marcio. Meraviglia invece ebbe un trattamento diverso: soffocava, lentamente. Non sempre è facile esprimersi, ho la sensazione ora che il piacere provato nell'affermare il mio amore le togliesse a poco a poco il respiro, lo pneuma. Tagliai foglie e fiori e radici morte e la travasai in un vasetto dello yogurt più piccolo, diceva "Isabella", mi pareva perfetto. In un angolo ora tra due finestre la contemplavo continuamente, tanto. Un cd rifletteva la luce del Sole sul suo viso, piccole casse praticamente sempre accese trasmettevano interi concerti. Koko, un'amica jinn, un giorno portò un biglietto, diceva: "La prova vivente della Bellezza del Mondo". Mi sono spesso sentito veramente afflitto a guradarla, l'accompagnavo lentamente alla morte, il suo naturale corso. Tale orchidea era ormai divenuta un simbolo ed io mi ostinaii con tutta la volontà di cui sono abile, la amaii per davvero fino alla follia.. Ma cos'è allora una storia d'amore? Che cosa vedono i vetri delle finestre di questo ospedale? Vedono le smorfie e l'assenza dei tanti pochi che ogni ora arrivano, per giorni restano e in un istante lasciano, i letti, i corridoi, le sedie con le ruote e i camici pallidi e i carrelli e queste stesse finestre con le cornici in versi. E che cosa ha visto Meraviglia in me da scegliere di divenire lo specchio della mia solitudine? A morirsi come niente mai in questa terra dovrebbe. Eppure, dopo le tante strategie, una sera la portai al cimitero per seppellirla, darla alla terra dei morti. Un vasto parco che costeggiava tutta la strada per arrivare da casa mia al mare. Era da poco Aprile, ma ancora il manto di neve copriva le tombe stesse e uno spesso strato di ghiaccio mi impedì di raggiungere la terra. In quel momento la disperazione mi ha invaso, ha preso il controllo di me. Ho sferrato pugni e calci sul ghiaccio, ho picchiato con sassi e bastoni, ma tutto è rimasto immutato, identico, indifferente: il cuore stesso era ormai divenuto ghiaccio. E non ho compreso mai come è potuto succedere. Proprio a me, che lo avevo creduto tanto, come ho fatto a permetterlo? La stessa terra madre mi ha negato allora il battito. Terribile. Dopo qualche minuto ho infine messo la pianta nel recipiente di un cero, ho sostituito la neve alla terra e ho poggiato i resti al fianco di una lapide a ricordare una cosa forse stupida, sicuramente ingenua: noi non siamo piante. Già.
Guardo ora i loro occhi stanchi e questa storia mi torna alla mente. Non sono un medico, non decido di loro le medicine, le terapie. Semplicemente ad ogni turno porto un po' d'acqua.
http://whatthebleep.com/crystals/
sabato 23 luglio 2011
giovedì 14 luglio 2011
Il ripieno di un pupazzo di stoffa
Questa è la lettera di un suicida che la ha amata tanto e sopravvive alla vita.
Edward James
venerdì 8 luglio 2011
Non ho domande da farti
Godersi la vita significa per me fare una passeggiata nel bosco, stare con mio padre, levigare una piedra, sottolineare una frase, conoscere il nome tuo, premere il bottone >, sedere sotto un albero con i piedi nell'acqua, togliermi le scarpe, scrivere M sul mare di ghiaccio, guardare mia madre quando crede di essere sola, sapere che i miei giorni sono solo il punto di equilibrio tra l'immaginario e il reale, danzare, danzare solo, trovarmi in luoghi dove sia io l'unico a dare esistenza alle cose, attendere un istante prima di mangiare, prima di svegliarmi, passare davanti alla salagiochi ma avere troppo da fare per potermi fermare, sentire che questo profumo è rimasto lo stesso. Sapere che ci guardiamo ora con occhi diversi, poterti guardare, avere un momento di silenzio tra i nostri ricordi più belli, ascoltare ora l'incredibile storia di quel vecchio seduto solo, simulare un abito, vedere come cambia dopo aver fatto l'amore, sorprendermi a fare qualcosa di tremendamente stupido, pregare per i vivi, ci sono cose che nessuno può togliermi, sapere che nella stanza accanto c'è qualcuno che amo, c'è qualcuno come me, e anche se non condivido questo momento non sono solo, curarmi, esiste anche ciò che non posso vedere, bagnarmi il viso di cenere, calciare la sabbia al vento, cavalcare, fare un salto nel vuoto, ascoltare le onde fino al sogno, sentire che anche il cuore è riuscito a perdonare. Disinteressarmi se il pesce abbocca, fissare il Sole, scrivere sulla lavagna, cancellare e ricominciare a scrivere, parlare con gli uccelli, credere che questa canzone sarà il neon caldo per la falena della mia inquietudine, sapere che questo stesso giorno ritornerà, sono stato io a fermare i rami dell'albero, mi commuovo e il film non è ancora iniziato, la cintura di Orione, immaginare che anche chi vive sopra le nuvole vede l'alba del nuovo giorno. Non c'è tormento qui, solo le onde del mare sulla pietra e quiete. Tutto ciò in cui credo mi ha condotto qui, su questo scoglio, seduto, e non importa quante volte ancora dovrò morire, dimenticare, sognare e risvegliarmi. Aspetterò che questo oceano infinito ti porti a me una volta ancora come una conchiglia. Il mio nome è Χρυσοῦς e sono filgio del Sole, cammino su raggi dorati come l'abbaglio delle nuvole riflesse sull'acqua.
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